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La terribile immobilità delle "sedie" di Cesare Bruno moltiplicate all'infinito come magici robots nascondono invero una concitazione interiore, un'idea in progressione, futuribile. L'oggetto dipinto diventa multiplo di se stesso, è più che un emblema scoperto e utilizzato come caratteristica propria, assume le fattezze d'un paesaggio che si incastra e gioca con i problemi pittorici (colore servo del disegno) si tramuta in folla di oggetti per attendere il disperante vagare dell'uomo.
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